Una
PREMESSA teorico-filosofica al LABORATORIO esperienziale sul riconoscimento di
identità nella relazione docente/alunno
Chi sono io? Chi sei tu?
I recenti
fenomeni di globalizzazione, come per esempio i processi di indebolimento delle
barriere nazionali, le grandi migrazioni verso i paesi occidentali rendono di
grande attualità, non solo sociologica, ma anche politica e sociale, la:
questione
dell'identità,
molteplicità
delle identità (nella collettività come nella singola
persona)
possibilità di
comunicarle
renderle
intelligibili agli altri.
Cenni
sulla nozione di identità: Locke, Hume, James...
La
riflessione sul concetto di identità oscilla continuamente tra oggettività e
soggettività, tra pubblico e privato, tra comportamentismo e solipsismo.
Di
volta in volta, l’accento viene posto sul ruolo delle interazioni sociali, su
quello delle caratteristiche interiori della persona o sulle convenzioni e
costrizioni che imprigionano e orientano i nostri comportamenti e la formazione
del carattere.
La
riflessione sull’identità e sull’io nasce con il cogito di Cartesio, che
sceglie l’io, la sostanza che pensa, come fondamento della teoria della
conoscenza, sottraendolo metodologicamente al dubbio e ponendolo in aperto
contrasto con la componente materiale dell’essere umano, la sostanza estesa.
Ma quale elemento custodisce l’identità della persona?
Locke propone la seguente definizione di persona:
“essere pensante, intelligente, dotato di ragione e riflessione, che può
considerare se stesso come se stesso, cioè la stessa cosa pensante, in diversi
tempi e luoghi, il che accade solo mediante quella coscienza che è inseparabile
dal pensare” (Locke 1988 Saggio sull’intelligenza umana). Di conseguenza, afferma Locke, il criterio di
identità non può ridursi alla semplice unità e continuità di vita: è la
coscienza che riflessivamente raccoglie in unità la vita dell’individuo
considerato come persona e, dunque, come essere razionale. Nelle parole di
Locke, l’identità personale consiste “nel fatto che un essere razionale sia
sempre il medesimo; e di quel tanto che la consapevolezza può venir portata al
passato, a qualunque passata azione e pensiero, fin là giunge l’identità di
quella persona”.
La
coscienza di sé è dunque il primo pilastro sul quale Locke fonda l’identità personale
nel caso degli individui/persone. L’altro fattore irrinunciabile perché si possa
parlare di permanenza dell’identità è “la memoria in quanto garante della continuità
nel tempo della coscienza di sé.
Ciò
che conta non è la biografia, ma la biografia ricordata.
Osserva
Jervis (La conquista dell’identità: essere se stessi, essere diversi,
1999):
“Locke
ci fa notare che quando noi pensiamo alla nostra identità, ci riferiamo a una
particolarissima dignità psicologica e morale: questa è la dignità che ci
deriva dal portare in noi stessi la piena, consapevole, responsabile memoria
del nostro passato”.
La
memoria del nostro passato è anche memoria di appartenenze comuni: nella nostra
identità si intrecciano i ricordi dei luoghi e degli eventi che abbiamo
condiviso con altri. Si creano così complicità e vicinanze che assumono un
ruolo decisivo nel costituirsi di un’identità solida e stabile: l’assenza di
memorie condivise e di contesti provoca
la crisi di quel senso di appartenenza al quale affidiamo la possibilità di rispondere
alla domanda più antica e inquietante: chi sono?
Hume
in alcune sezioni del Trattato sulla natura umana applica il suo metodo
scettico per mettere in discussione la nozione stessa di identità: “taluni
filosofi ritengono che noi siamo in ogni momento intimamente consapevoli di ciò
che chiamiamo il nostro io; che avvertiamo la sua esistenza e continuità;
e che siamo certi, al di là dell’evidenza di una dimostrazione, del suo carattere
perfettamente unitario e identico a se stesso” (Hume A Treatise of Human Nature 1971).
In
realtà, osserva Hume, noi siamo consapevoli di noi stessi soltanto quando
siamo impegnati in una particolare percezione: di volta in volta vediamo un paesaggio,
ascoltiamo un suono, gustiamo un sapore, ma nulla ci garantisce l’esistenza di
un’unità a cui riferire la totalità di queste percezioni.
Di
conseguenza, “la memoria e l’immaginazione non sono ciò che ci fa
scoprire una identità sottostante, ma assomigliano piuttosto a degli indicatori
di una convinzione (ed anche di una convenzione) culturale: la convinzione
grazie alla quale ricostruiamo retrospettivamente (o anche ‘produciamo’) un senso
di identità” (Sparti 2000 Identità e coscienza).
L’identità,
in definitiva, non è un fatto, ma un limite a cui tendere, una necessità
psicologica, il riflesso di un bisogno irrinunciabile e dell’esigenza di dare
un centro stabile e sicuro all’insieme turbinoso delle nostre percezioni ed
esperienze.
William
James (The principles of Psychology, 1950) individua tre aspetti fondamentali
dell’identità individuale (parliamo di persone, ovviamente, non di individui in
senso astratto)
__ Il self “materiale”,
il nostro aspetto fisico, l’insieme di caratteristiche che contribuiscono al
nostro modo di presentarci e di mostrarci. I lineamenti del viso, gli abiti, la
casa, la famiglia, gli oggetti a cui teniamo maggiormente e dai quali raramente
ci separiamo.
__ Il self “sociale”,
il ruolo di cui siamo investiti nell’ambito dei nostri affetti e, soprattutto,
nell’ambito, più rigido ed esigente, dei rapporti professionali. I doveri che
regolano i nostri comportamenti in accordo con le convenzioni e le abitudini.
__ Il self spirituale:
“l’essere interiore, o soggettivo, di un essere umano, le sue facoltà psichiche
o disposizioni, prese concretamente”.
Se
e quando l’identità individuale è intesa come una configurazione di concezioni
che hanno origine nei processi sociali, la sociologia e la psicologia sociale
diventano le discipline di riferimento per gli studi sull’identità.
I
nomi più importanti che incontriamo in questa linea di pensiero sono quelli di
George Herbert Mead (1966 Mente, Sé e società), che prosegue e
approfondisce il lavoro di James sottolineando le componenti sociali e
culturali nella costruzione del sentimento di identità, e di Erving Goffman nel
cui studio “l'individuo è stato
implicitamente diviso in due parti fondamentali: è stato considerato come attore,
un affaticato fabbricante d'impressioni, immerso nel fin troppo umano compito
di mettere in scena una rappresentazione, ed è stato considerato come personaggio,
una figura per definizione dotata di carattere positivo, il cui spirito, forza
e altre qualità eccezionali debbono essere evocati dalla
rappresentazione." (Goffman La
vita quotidiana come rappresentazione 1975, L'interazione strategica
1988).
Secondo
Goffman la nostra identità si struttura quotidianamente attraverso le nostre
recite, ma anche attraverso quello che siamo riusciti a trasmettere agli altri
nelle nostre "recite", per cui
non c’è spazio per l’elaborazione interiore del soggetto: ciò che conta sono le
azioni e i gesti che quotidianamente compiamo nel lavoro, nella vita affettiva,
nel tempo libero.
La
nostra identità è definita dai ruoli che di volta in volta siamo chiamati a
svolgere e tuttavia Goffman affida al
soggetto un compito attivo nella costruzione dell’identità: “il self non
corrisponde al ruolo interiorizzato ma viene attribuito proprio laddove
l’individuo mostra la ‘sua’ differenza rispetto ai requisiti imposti dal ruolo”(Sparti,
op. cit.).
In
altre parole, l’individuo, pure impegnato e assorbito dai gesti e dai comportamenti
imposti dal ruolo che è chiamato a interpretare, può continuare a trasmettere
informazioni su di sé manifestando, verbalmente o no, il suo atteggiamento nei
confronti del ruolo che lo assorbe. Si può, ad esempio, accettare di
interpretare un ruolo mostrando allo stesso tempo di rifiutare la completa
identificazione tra la propria identità e le caratteristiche che definiscono il
ruolo. Anzi, questa esibizione di una presa di distanze dal ruolo di appartenenza
sociale è un fattore decisivo, pressoché imposto culturalmente, per l’analisi
del problema dell’identità nella società moderna.
Rielaborazione da Simonetta Bisi, http://w3.uniroma1.it/dcnaps/bisi
Buon lavoro a tutti, in questo periodo concitato e dinamico di fine anno scolastico
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