sabato 12 maggio 2012

 

 3° INCONTRO  LABORATORIO ESPERIENZIALE 
  FORMARSI per non FERMARSI
  • Comunicazione e Riconoscimento di IDENTITA' 
nella relazione docente/alunno 
  • Analisi Elaborazione e Soluzione di casi e situazioni reali

A.I.C.I. Ancona


GIOVEDI 17 MAGGIO 2012
ORE 15.30 - 17.30
Istituto Superiore "Savoia -Benincasa"
ANCONA

tutor
prof. Giancarla Mandozzi


IN PREPARAZIONE DELL'INCONTRO SONO STATE SUGGERITE DUE LETTURE :
http://aiciancona.blogspot.com; http://www.counselingitalia.it/forum
  
Intervista a Giovanni Jervis: che cos'è l'IDENTITA'

IL CONCETTO TEORICO-FILOSOFICO DI IDENTITA' 



mercoledì 9 maggio 2012

A.I.C.I. Ancona
 

INVITO ALLA LETTURA   

                       2° suggerimento

                    in preparazione del 3° incontro del 

 

                    LABORATORIO ESPERIENZIALE per DOCENTI

                     FORMARSI PER NON FERMARSI
                               giovedì, 17 maggio 2012

Comunicazione e riconoscimento di identità docente/alunno

• Analisi elaborazione e soluzione di casi e situazioni reali




Nel prossimo 3° incontro ci occuperemo della COSTRUZIONE e del RICONOSCIMENTO di identità del docente da parte dell'alunno, come dell'alunno da parte del docente.

In previsione propongo ai docenti interessati due interventi "preparatori".
Qui di seguito il secondo (il  primo è stato pubblicato da qualche giorno):


CONCETTO TEORICO-FILOSOFICO DI IDENTITA' 



Una PREMESSA teorico-filosofica al LABORATORIO esperienziale sul riconoscimento di identità nella relazione docente/alunno
Chi sono io? Chi sei tu?
I recenti fenomeni di globalizzazione, come per esempio i processi di indebolimento delle barriere nazionali, le grandi migrazioni verso i paesi occidentali rendono di grande attualità, non solo sociologica, ma anche politica e sociale, la:
questione dell'identità,
molteplicità delle identità (nella collettività come nella singola persona)
possibilità di comunicarle
renderle intelligibili agli altri.

Cenni sulla nozione di identità: Locke, Hume, James...
La riflessione sul concetto di identità oscilla continuamente tra oggettività e soggettività, tra pubblico e privato, tra comportamentismo e solipsismo.
Di volta in volta, l’accento viene posto sul ruolo delle interazioni sociali, su quello delle caratteristiche interiori della persona o sulle convenzioni e costrizioni che imprigionano e orientano i nostri comportamenti e la formazione del carattere.
La riflessione sull’identità e sull’io nasce con il cogito di Cartesio, che sceglie l’io, la sostanza che pensa, come fondamento della teoria della conoscenza, sottraendolo metodologicamente al dubbio e ponendolo in aperto contrasto con la componente materiale dell’essere umano, la sostanza estesa.
Ma quale elemento custodisce l’identità della persona?
Locke propone la seguente definizione di persona: “essere pensante, intelligente, dotato di ragione e riflessione, che può considerare se stesso come se stesso, cioè la stessa cosa pensante, in diversi tempi e luoghi, il che accade solo mediante quella coscienza che è inseparabile dal pensare” (Locke 1988 Saggio sull’intelligenza umana). Di conseguenza, afferma Locke, il criterio di identità non può ridursi alla semplice unità e continuità di vita: è la coscienza che riflessivamente raccoglie in unità la vita dell’individuo considerato come persona e, dunque, come essere razionale. Nelle parole di Locke, l’identità personale consiste “nel fatto che un essere razionale sia sempre il medesimo; e di quel tanto che la consapevolezza può venir portata al passato, a qualunque passata azione e pensiero, fin là giunge l’identità di quella persona”.
La coscienza di sé è dunque il primo pilastro sul quale Locke fonda l’identità personale nel caso degli individui/persone. L’altro fattore irrinunciabile perché si possa parlare di permanenza dell’identità è “la memoria in quanto garante della continuità nel tempo della coscienza di sé.
Ciò che conta non è la biografia, ma la biografia ricordata.
Osserva Jervis (La conquista dell’identità: essere se stessi, essere diversi, 1999):
“Locke ci fa notare che quando noi pensiamo alla nostra identità, ci riferiamo a una particolarissima dignità psicologica e morale: questa è la dignità che ci deriva dal portare in noi stessi la piena, consapevole, responsabile memoria del nostro passato”.
La memoria del nostro passato è anche memoria di appartenenze comuni: nella nostra identità si intrecciano i ricordi dei luoghi e degli eventi che abbiamo condiviso con altri. Si creano così complicità e vicinanze che assumono un ruolo decisivo nel costituirsi di un’identità solida e stabile: l’assenza di memorie condivise e di contesti  provoca la crisi di quel senso di appartenenza al quale affidiamo la possibilità di rispondere alla domanda più antica e inquietante: chi sono?
Hume in alcune sezioni del Trattato sulla natura umana applica il suo metodo scettico per mettere in discussione la nozione stessa di identità: “taluni filosofi ritengono che noi siamo in ogni momento intimamente consapevoli di ciò che chiamiamo il nostro io; che avvertiamo la sua esistenza e continuità; e che siamo certi, al di là dell’evidenza di una dimostrazione, del suo carattere perfettamente unitario e identico a se stesso” (Hume  A Treatise of Human Nature 1971).
In realtà, osserva Hume, noi siamo consapevoli di noi stessi soltanto quando siamo impegnati in una particolare percezione: di volta in volta vediamo un paesaggio, ascoltiamo un suono, gustiamo un sapore, ma nulla ci garantisce l’esistenza di un’unità a cui riferire la totalità di queste percezioni.
Di conseguenza, “la memoria e l’immaginazione non sono ciò che ci fa scoprire una identità sottostante, ma assomigliano piuttosto a degli indicatori di una convinzione (ed anche di una convenzione) culturale: la convinzione grazie alla quale ricostruiamo retrospettivamente (o anche ‘produciamo’) un senso di identità” (Sparti 2000 Identità e coscienza).
L’identità, in definitiva, non è un fatto, ma un limite a cui tendere, una necessità psicologica, il riflesso di un bisogno irrinunciabile e dell’esigenza di dare un centro stabile e sicuro all’insieme turbinoso delle nostre percezioni ed esperienze.
William James (The principles of Psychology, 1950) individua tre aspetti fondamentali dell’identità individuale (parliamo di persone, ovviamente, non di individui in senso astratto)
__ Il self “materiale”, il nostro aspetto fisico, l’insieme di caratteristiche che contribuiscono al nostro modo di presentarci e di mostrarci. I lineamenti del viso, gli abiti, la casa, la famiglia, gli oggetti a cui teniamo maggiormente e dai quali raramente ci separiamo.
__ Il self “sociale”, il ruolo di cui siamo investiti nell’ambito dei nostri affetti e, soprattutto, nell’ambito, più rigido ed esigente, dei rapporti professionali. I doveri che regolano i nostri comportamenti in accordo con le convenzioni e le abitudini.
__ Il self spirituale: “l’essere interiore, o soggettivo, di un essere umano, le sue facoltà psichiche o disposizioni, prese concretamente”.
Se e quando l’identità individuale è intesa come una configurazione di concezioni che hanno origine nei processi sociali, la sociologia e la psicologia sociale diventano le discipline di riferimento per gli studi sull’identità.
I nomi più importanti che incontriamo in questa linea di pensiero sono quelli di George Herbert Mead (1966 Mente, Sé e società), che prosegue e approfondisce il lavoro di James sottolineando le componenti sociali e culturali nella costruzione del sentimento di identità, e di Erving Goffman nel cui studio  “l'individuo è stato implicitamente diviso in due parti fondamentali: è stato considerato come attore, un affaticato fabbricante d'impressioni, immerso nel fin troppo umano compito di mettere in scena una rappresentazione, ed è stato considerato come personaggio, una figura per definizione dotata di carattere positivo, il cui spirito, forza e altre qualità eccezionali debbono essere evocati dalla rappresentazione." (Goffman  La vita quotidiana come rappresentazione 1975, L'interazione strategica 1988).
Secondo Goffman la nostra identità si struttura quotidianamente attraverso le nostre recite, ma anche attraverso quello che siamo riusciti a trasmettere agli altri nelle nostre "recite",  per cui non c’è spazio per l’elaborazione interiore del soggetto: ciò che conta sono le azioni e i gesti che quotidianamente compiamo nel lavoro, nella vita affettiva, nel tempo libero.
La nostra identità è definita dai ruoli che di volta in volta siamo chiamati a svolgere e tuttavia  Goffman affida al soggetto un compito attivo nella costruzione dell’identità: “il self non corrisponde al ruolo interiorizzato ma viene attribuito proprio laddove l’individuo mostra la ‘sua’ differenza rispetto ai requisiti imposti dal ruolo”(Sparti, op. cit.).
In altre parole, l’individuo, pure impegnato e assorbito dai gesti e dai comportamenti imposti dal ruolo che è chiamato a interpretare, può continuare a trasmettere informazioni su di sé manifestando, verbalmente o no, il suo atteggiamento nei confronti del ruolo che lo assorbe. Si può, ad esempio, accettare di interpretare un ruolo mostrando allo stesso tempo di rifiutare la completa identificazione tra la propria identità e le caratteristiche che definiscono il ruolo. Anzi, questa esibizione di una presa di distanze dal ruolo di appartenenza sociale è un fattore decisivo, pressoché imposto culturalmente, per l’analisi del problema dell’identità nella società moderna.

Rielaborazione da Simonetta Bisi, http://w3.uniroma1.it/dcnaps/bisi

Buon lavoro a tutti, in questo periodo concitato e dinamico di fine anno scolastico


giovedì 3 maggio 2012

A.I.C.I. Ancona
 

INVITO ALLA LETTURA

in preparazione del 3° incontro del 

 

                       LABORATORIO ESPERIENZIALE per DOCENTI

                     FORMARSI PER NON FERMARSI
                               giovedì, 17 maggio 2012

Comunicazione e riconoscimento di identità docente/alunno

• Analisi elaborazione e soluzione di casi e situazioni reali




Nel prossimo 3° incontro ci occuperemo della COSTRUZIONE e del RICONOSCIMENTO di identità del docente da parte dell'alunno, come dell'alunno da parte del docente.

In previsione propongo ai docenti interessati due interventi "preparatori".
Qui di seguito il primo (il secondo sarà pubblicato tra qualche giorno)

Giovanni Jervis: Che cos'è l'identità?

selezione da Il Grillo 16/2/1998 http://www.emsf.rai.it/
In http://www.emsf.rai.it/ potrete leggere l'intera intervista a Giovanni Jervis, di cui qui di seguito è riportato qualche passo.

JERVIS: Cos'è la nostra identità?
"Essa è tutto ciò che caratterizza ciascuno di noi come individuo singolo e inconfondibile. E' ciò che impedisce alle persone di scambiarci per qualcun altro. Così come ognuno ha un'identità per gli altri, ha anche un'identità per sé. Quella per gli altri è l'identità oggettiva, l'identità per sé è l'identità soggettiva. L'identità soggettiva è l'insieme delle mie caratteristiche così come io le vedo e le descrivo in me stesso. L'identità oggettiva di ciascuno, ossia la sua riconoscibilità, si presenta secondo tre principali modalità. La prima modalità è l'identità fisica: questa è data soprattutto dalle caratteristiche della faccia, le quali ci permettono di non esser confusi con un'altra persona. La seconda modalità è l'identità sociale, ossia un insieme di caratteristiche quali l'età, lo stato civile, la professione, il livello culturale e l'appartenenza ad una certa fascia di reddito. La terza modalità è l'identità psicologica, ovvero la mia personalità, lo stile costante del mio comportamento. Alcuni aspetti dell'identità cambiano più facilmente di altri. L'identità sociale può cambiare rapidamente: se, ad esempio, un funzionario di banca va in pensione e si trasferisce in campagna, ecco che la sua identità sociale è cambiata ed egli non è più il tale funzionario benestante e abitante in città, ma è il tal'altro pensionato, solerte proprietario di un piccolo orto. L'identità fisica invece cambia gradatamente. E' probabile che a sessant'anni abbia più o meno la stessa faccia di dieci anni prima, anche se potrei avere una faccia alquanto diversa rispetto a trenta o quarant'anni prima. L'identità psicologica è una tema molto interessante e anch'essa cambia piuttosto poco: ognuno ha una sua personalità, vale a dire una certa intelligenza, determinate attitudini e specifici tratti del carattere. La personalità dipende, in gran parte, da fattori genetici e assume caratteristiche stabili durante l'infanzia.
STUDENTE: In cosa consiste l'identità soggettiva e che rapporto ha con quella oggettiva?
JERVIS: Si tratta di un tema molto interessante. La prima cosa che potrebbe venire in mente riguardo a tale argomento è che esiste la possibilità che si venga a creare una discrepanza fra come io mi sento e mi definisco e come mi vedono gli altri. A tale proposito si dovrebbe innanzitutto dire che il mio modo di vedermi è in larga misura il riflesso della maniera in cui mi vedono gli altri e della maniera in cui io so che mi vedono gli altri: normalmente si "chiede" ad altre persone di dirci chi siamo. A questo punto, però, veniamo a trovarci in una situazione abbastanza spinosa, perché di norma non domandiamo a tutti gli altri di definirci e di illuminarci sul nostro carattere, ma operiamo una selezione tra le persone che reputiamo deputate a tal compito: esse sono essenzialmente i nostri familiari e i nostri amici. In questo modo accade che coloro che dovrebbe farci conoscere le nostre peculiarità caratteriali, sono proprio quelle persone che tendono a presentarci la versione più gradevole e più accettabile della nostra personalità. Di conseguenza, spesso si vengono a creare delle situazioni improntate sulla malafede, perché l'immagine di me stesso che mi sono creato risulta più favorevole dell'immagine che ho delle persone esterne alla cerchia più intima dei miei conoscenti.
STUDENTESSA: Quanto influisce il contesto storico-sociale in cui viviamo sulla nostra identità?
JERVIS: Esso influisce moltissimo su quella che si può definire la "identità sociale". Quest'ultima è in gran parte data dal tipo di attività che svolgiamo, dalla nostra collocazione in una certa fascia sociale e dalla cultura a cui apparteniamo. Ovviamente l'identità di un contadino è diversa da quella di un cittadino, così come l'identità di una persona che abita in un paese del cosiddetto "Terzo Mondo" risulta differente da quella di un individuo del mondo industrializzato. Riguardo a tale aspetto le cose sono oggi molto cambiate: il mondo si sta lentamente uniformando e sta mutando la possibilità di crearsi un'identità. Quest'ultima, infatti, non deve più necessariamente essere coerente con quella data dalla cultura in cui siamo nati: oggi come oggi un individuo potrebbe essere stimolato a cambiare cultura, magari emigrando o tentando di migliorare la propria posizione sociale. Entrando in particolari più spiccioli, è anche abbastanza facile notare come il carattere dei figli non sempre assomigli a quello dei genitori. Sino a tempi relativamente recenti, le identità sociali - soprattutto in riferimento al tipo di attività lavorativa - venivano predisposte dalla nascita. Per quanto riguarda la sfera del femminile, ad esempio, i ruoli che le donne potevano avere all'interno di una società tradizionale risultavano predeterminati e di numero ridotto: sposarsi in un certo ambiente sociale, restare nubili, farsi suore e così via. Nelle società tradizionali - così come nelle culture contadine dell'Italia contemporanea - il destino di un individuo veniva deciso dalla famiglia quando questo era ancora in età infantile. Anche all'interno dei ceti più elevati e privilegiati era abbastanza comune che il figlio continuasse il mestiere dei genitori. Questo è un aspetto abbastanza caratteristico delle piccole imprese commerciali o industriali: fino a poco tempo fa era tradizione che un'attività su base familiare di tal genere fosse gestita dalla persona che l'aveva creata e che, una volta assente il fondatore, venisse amministrata dai suoi figli. Questo modo di agire aveva - ed ha - una sua funzionalità, perché si trattava di imprese piccole che non dovevano essere particolarmente competitive. Se il volume d'affari della fabbrica subiva invece un incremento, non risultatava altrettanto utile donarla alla propria prole, perchè i figli non sono necessariamente le persone più adatte a gestire un'impresa. In tale contesto il problema è dato proprio dal fatto che le specificità caratteriali dei figli spesso non somigliano a quelle dei genitori. E' sempre più evidente come in certi casi si debba scegliere la persona più consona a portare avanti una certa impresa - commerciale o industriale che sia - anche se quest'ultima può non coincidere con il figlio del fondatore. Il figlio di un artigiano non solo non è necessariamente adatto a fare l'artigiano, ma può anche non avere nessuna voglia di fare l'artigiano. Questa reinvenzione delle identità attraverso le generazioni è forse il fenomeno più interessante e, in qualche modo, più nuovo all'interno del problema generale dell'identità.
STUDENTESSA: Cosa succede quando l'identità soggettiva entra in contrasto con quella oggettiva?
JERVIS: Per risponderLe potrei collegarmi alla domanda di prima: l'identità oggettiva è quella che costruiamo durante la vita. Voi siete giovani e vi trovate in un momento cruciale per la costruzione dell'identità: il tipo di mestiere, di credo religioso e di appartenenza familiare caratteristici di una vita, infatti, vengono maturati specialmente fra i quattordici e i venticinque anni. L'identità sociale svolge bene il suo compito se riesce a utilizzare in modo ottimale le proprie potenzialità: se un individuo ha uno spiccato talento per la matematica, è nel suo interesse scegliersi un mestiere in cui la matematica abbia un certo peso. Ciò risulta tanto più utile in quanto facciamo parte di una società in cui la competizione svolge un ruolo importante: chi riesce ad avere successo è colui che ha individuato gli ambiti che gli sono più congeniali e li ha utilizzati al meglio, trascurando altre caratteristiche della sua personalità. Questa capacità riguarda la costruzione dell'identità "adulta" e costituisce un grosso problema, anche perché, una volta formata, l'identità adulta non si può cambiare molto facilmente. Mettere su famiglia, crearla presto o crearla tardi, avere molto figli o averne pochi, puntare ad un certo tipo di carriera o ad un altro, scegliere una vita basata su valori economici o su valori di altro tipo: nella costruzione dell'identità gli aspetti soggettivi si configurano come un problema di autoriconoscibilità e di autodescrizione. Si tratta di una questione molto delicata, perché è importante che ognuno - soggettivamente - sappia dare l'immagine più esatta possibile della propria identità. E' il vecchio problema del "conoscere se stessi": quanto più un individuo conosce le proprie caratteristiche, tanto più potrà costruire un'identità "oggettiva", ovvero un'identità riconosciuta dagli altri, che sia funzionale ai suoi interessi e che svolga bene il suo compito anche dal punto di vista dell'interesse sociale. [...]"

 l'incontro sarà gratuito e aperto anche a docenti che non hanno partecipato ai due precedenti